Il vitello d’oro e il pollo al cloro

Lettera aperta dell'ex sindaca di San Vittore, Nicoletta Noi-Togni, con la quale stigmatizza il comportamento della Svizzera nei confronti del presidente americano Donald Trump.
19.11.2025
3 min
Donna anziana con capelli rossi ricci, indossa una giacca verde e una sciarpa bianca. È seduta e sembra assorta nella lettura o nella riflessione.

Non ho potuto fare a meno di pensarci. Vedendo i grandi imprenditori svizzeri seduti come scolaretti obbedienti nello studio ovale al cospetto del potente Trump, che con sufficienza osservava i loro regali d’oro, mi sono chiesta se stavamo ritornando al vitello d’oro della Bibbia. Il libro dell’Esodo infatti racconta che salito Mosè sul Monte Sinai, gli Israeliti vollero costruire un Dio. Lo costruirono d’oro, con le sembianze di un vitello e lo adorarono. L’analogia non sarà del tutto calzante ma perlomeno gli elementi dell’oro e dell’adorazione ci sono. E c’è anche l’aspettarsi una grazia, un favore da un potente che si è voluto rabbonire con doni il più possibile preziosi, con oro appunto. L’agire degli Israeliti di oltre 1000 anni a.C., immerso in una storia delle più antiche e surreali, non ci meraviglia. Ci dovrebbe però meravigliare questo tonfo di dignità, proprio da parte della nostra nazione che ritenevamo fiera ed anche di più ci dovrebbe meravigliare il fatto che non sia lo Stato a trattare questioni di Stato ma in sua vece l’industria privata. Un passaggio di competenze, di ruoli che umilia ed avvilisce la politica istituzionale. Da quando per ossequiare il capo di una nazione straniera si devono inviare gli emissari che gli sono graditi e non quelli che il sistema democratico ha destinato a questa funzione? Credo non sia successo neppure quando gli emissari dei sovrani attraversavano valli e montagne a cavallo.

Preoccupante è però che non siamo i soli a seguire quello che sembra diventato un rituale. La sequela di piccoli e medi capi di Stato che hanno intrapreso servilmente la via per Washington ci dice che non sono stati pochi mentre anche l’Unione Europea, seppure con un'altra destinazione, ha seguito questo iter. Tutti, più o meno con lo scopo dichiarato di ingraziarsi Trump e i suoi dazi. E questo prima che la Corte suprema americana abbia deciso sulla legalità o meno delle pratiche trumpiane.

Certo si capiscono molto bene le preoccupazioni dei datori di lavoro nel nostro Paese e la perdita di occupazione è uno spauracchio angosciante, il lavoro essendo un valore imperdibile. Ma anche il prezzo da pagare per il ritocco fatto da Trump sui dazi non può tranquillizzarci. Dalle ditte che si trasferiscono in America al pollo al cloro da importare. Sembra che il patteggiamento proprio riuscito non sia. Il vitello, d’oro o no, resta vitello.

Nicoletta Noi-Togni