narra la leggenda, che un coccodrillo un giorno se ne andava a spasso per le vie di new york. si sa che, di qua e di là per le street e su e giù per le avenue, nella grande mela si può passeggiare ognuno agghindato come gli va, che nessuno ti dice alcunché, a parte la nonna, che anche a manhattan non si mette tranquilla finché non le dici che hai messo la maglia di lana. c’è chi passeggia in giacca e cravatta, ma con le scarpe da tennis, chi ha la gonna da serata di gala, ma ai piedi i roller skate e sul bavero un rapanello, chi ha i capelli come marge simpson e chi indossa uno scafandro da astronauta, forse pensando di essere sulla luna.
figurati se uno un giorno se ne va a zonzo, che sembra una borsa di coccodrillo, con la sola differenza di respirare, sbavare e trimbulare più di una borsetta qualsiasi, o di un paio di stivali. che poi non era un giorno, quel giorno, bensì una notte.
narra la leggenda che il coccodrillo avrebbe preferito prendere un taxi giallo giallo, solo per il gusto di alzare la manina e vederne arrivare un paio in meno di mezzo secondo, come accade nei film. ma i film sono solamente film, lo dice la parola stessa, e pare che alla fine si sia rassegnato a prendere il metró, acquistando rigorosamente il gettone d’ingresso.
sarà vero?!
c’è chi dice che qualcuno gli abbia chiesto pure l’ora, ma che ne sa un coccodrillo, di che ore sono?! però? se lo sbranò senza tanti complimenti. del resto sono pieni i vagoni di ogni metropolitana, di gente con un panino tra i polpastrelli, o un involtino primavera, o un bicchierone di qualche bevanda con tanto di cannuccia. nulla di strano, quindi, a sgranocchiare un passeggero. se un giorno ti capiterà di andare nella metropolitana di new york, non dimenticare a casa l’orologio, mi raccomando.
pare che, terminato il pranzetto, il coccodrillo in questione si sia esibito in un cavernicolo concerto, di quelli che le persone non troppo fini strombazzano nel bel mezzo della digestione. non ti dico che schifezza, ma si era a new york e – ti dicevo – lì la gente non ti bada e qualsiasi cosa tu faccia va bene, purché non si rompano troppo le scatole. ma parliamoci chiaro: se un coccodrillo in piena regola viene da me e rompe un po’, io saluto con riverenza e me ne vado, con tanto di gambe levate. però mica abito a manhattan, io...
ebbene, quelle evoluzioni gastrointestinali crearono delle inattese correnti d’aria al retrogusto di cipolla e mocassino, rinfrescando il ciuffo ad alcuni passeggeri, soffiando nelle gallerie e su per le scale mobili, trovando sfogo attraverso alcune grate sotto i piedi dei passanti lassù, in particolar modo una bella tipa bionda con il vestitino bianco, la cui gonna svolazzò dappertutto, per la gioia di chi le stava accanto. uh!
narra la leggenda che il coccodrillo, impaziente di aspettare il treno, si infilò nel buio di una galleria e chi lo ha visto più?!
nelle gallerie del metró, tutti lo sanno, abitano topastri lunghi un metro e mezzo, vivono james dean ed elvis presley e un militare giapponese arrivato chissà come da okinawa, cui nessuno ancora ha detto che la guerra mondiale è finita da un pezzo. se mai uscirai da lì, devo ricordarmi di chiedergli se abbia incontrato qualcuno di loro.
per quanto del coccodrillo si sia persa ogni traccia, la leggenda continua a narrare di lui cose fantastiche e fantasmagoriche: che ad un certo punto svoltò nel tubo della rete fognaria e continuò ad andare a spasso sotto un metro d’asfalto, a conferma che gli alligatori preferiscono le zone umide.
risalendo la corrente e i tubi, il nostro eroe entrò nell’impianto idraulico di non so quale grattacielo, proseguendo verso l’alto, piano dopo piano, che più che un coccodrillo pareva uno stambecco, ma non si è mai visto uno stambecco per le vie di new york, né a prendere il metró. presto o tardi avrebbe trovato una via d’uscita, magari in ceramica bianca.
narra la stessa leggenda, che una ragazzina arzilla e simpatica, sentendo un certo bisogno, come a volte accade anche alle ragazzine, lasciò le sue bambole sul pavimento e corse in bagno. alzò la gonnellina a fiori, abbassò le mutandine senza fiori, sollevò il coperchio della tazza e...
e qui la leggenda finisce di narrare. proprio sul più bello. senza sapere che fine farà la bimbetta, o il coccodrillo, ma soprattutto senza spiegare una volta per tutte se davvero le leggende metropolitane nascono sui vagoni del metró.
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