Urge “Vivere”

di Emmanuelle Rossini

Non vi è mai successo di sentirvi vigliacchi di fronte a chi vi sta dicendo che vivere non vale la pena? Quando cercate di convincere l’altro dello sbaglio che sta commettendo nel pensare questo. Quando vi accorgete che, di fronte all’oggettiva fotografia del mondo visibile che ci circonda, vi ritrovate a cercare le menzogne che meno vi fanno sentire venditori di fumo, complici della narrazione politica più diffusa?

Be, a me è successo. Mi è successo grazie, al come viene nominato, il mal di vivere dei miei figli. Mi è capitato un bel giorno e me lo sono trascinato appresso finché ho deciso di dire basta, rendendomi conto che urge un cambiamento, anche mio, se voglio solo sperare che un giorno, i miei figli possano davvero “vivere”.

Non ho mai insegnato il valore del soldo come una mera meta di una vita piena, ma le mie azioni quotidiane invece erano concordi con tale discorso. Un matrimonio, dei figli, una proprietà, due macchine, ed ora anche un cane. Insomma, il cliché perfetto! Vacanze ogni estate consapevoli di essere privilegiati ed eccoli i discorsi sul valore umano più importante del valore finanziario. Alcuni gesti quotidiani, mi auguro la maggioranza, in coerenza con il pensiero dichiarato. Ma molti altri all’opposto. Ed è così che mi sono accorta che non è vero che basti un’educazione basata sul dialogo per essere un buon genitore. Perché anche questo occorre fare: dare una definizione del buon genitore così che se un figlio sta male, se fallisce agli occhi dei canoni capitalisti, allora una colpa sarà velocemente attribuita. Condanna a morte, all’emarginazione da chi la sua vita l’ha realizzata.

Finché la scuola o qualsiasi sistema educativo, insegnerà che per “vivere” occorre lavorare, nel senso capitalistico del termine, ossia fare soldi, il risultato sarà quanto si sta osservando pur non volendolo vedere.

Urge che la base empirica dell’educazione cambi. Urge che al posto del soldo come valore venga rimesso il valore profondo della parola “vivere” ricollegandola alla sua etimologia nella filosofia greca. Ossia capire che “vivere” significa curare l’anima. Mentre oggi “vivere” viene più sovente assimilato a vendere la propria anima per accumulare un capitale. Non serve scienza pura per osservarlo; basta guardare la quantità sempre più elevata di persone, in primis i giovani, che si dannano l’anima perché consapevoli, essendo al bivio tra l’innocenza dell’infanzia e la responsabilità di diventare indipendente nelle proprie scelte, che la scelta davanti a loro non esiste. Ossia sembra che la formazione professionale sia la scelta in sé. Ma essa porta sempre alla stessa identica metafora della vita riuscita! Che orrenda espressione! Piena di sé, compressa nella gabbia normativa. Se non entri in quel vortice, che sotto alla sua apparenza di moltitudine, finisce sempre per convergere nella produzione di denaro a sufficienza per rientrare nella classifica capitalista della persona che «ha realizzato la sua vita»; allora fai parte di chi la sua vita, l’ha fallita!

Come è possibile fallire una vita? Cosa significa davvero?

Urge un cambiamento. Urge che i sistemi educativi riportino la cura dell’anima al centro della nozione di “vivere”; che venga tramandato tra le generazioni tutto quello che può sostenere tale cura in modo che ognuno delle nuove anime possa davvero scegliere come prendersi cura della parte più vitale di sé: sé stesso!

E sapete la cosa più buffa… è che leggendo queste righe molti le giudicheranno come l’evidente segnale di un umore depressivo, magari anche di una depressione pura! Poiché oggi la consapevolezza ha trovato l’escamotage del malessere psicologico. Al dolore della chiara visione del patetico stato di un mondo come il nostro, viene affisso il simbolo di una fragile salute mentale. È più aumentano i dati medici e meno le politiche dimostrano il coraggio di ammettere che a governare è solo il loro palese devastante ego dominatore. Così si cerca di curare la consapevolezza nella speranza che torni ad essere un’accettazione rassegnata della via, detta moderna, di star al mondo. Si cerca di far credere che la consapevolezza è la malattia quando invece ad essere malata è l’origine stessa della malattia.

Allora mi auguro solo che tali righe possano, per alcuni, non ridare un senso alla vita odierna, bensì un senso al “vivere”, conscia che per farlo non abbiamo altre scelte che opporsi con coraggio a tutto quello sul quale ci siamo costruiti! Che sia la fine, per forza in alcuni versanti dolorosa, di un sistema umano che ha portato alla disumanità dei popoli. Che sia la fine di questa vita, per proseguire, se non iniziare, a “vivere”!

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