Presentato il romanzo “A l’est del Grand-Couloir”di Maurice Zermatten, tradotto da Giorgio Tognola

di Lino Succetti

In copertina : il villaggio di Randonnaz (Zampè nel romanzo), primavera del 1930

Mercoledì 20 marzo, nell’aula magna della scuola di Grono, si è tenuta la presentazione della traduzione del libro “A l’est du Grand-Couloir “ dell’autore vallesano Maurice Zermatten (1910 – 2001), edito in francese quarant’anni fa ed ora tradotto da Giorgio Tognola. Trattasi di un tema assai congeniale per un valido narratore ed appassionato storico come Giorgio Tognola, che a Grono ha dialogato davanti ad un folto pubblico con il noto economista e giornalista Silvano Toppi, autore della prefazione, e con la giornalista radiotelevisiva Barbara Raveglia.

Il libro di Zermatten ci riporta alla scomparsa, dopo un abbandono forzato, del villaggio vallesano di Randonnaz (diventato Zampé nel romanzo) negli anni trenta del secolo scorso.

Il racconto è nato nelle pieghe dei ricordi, per non far dimenticare un pezzo di storia rurale di un villaggio montano e della sua gente. Parole, storie ed emozioni, intrise di attaccamento alla terra malgrado le difficoltà naturali, grande solidarietà e aiuto reciproco di una dozzina di fuochi spesso isolati dal fondovalle durante i lunghi e rigidi periodi invernali, arroccati a levante del burrone del Grand-Couloir, minacciati dalle valanghe che per lunghi mesi non permettono di comunicare con il fondovalle. Sono questi i punti cardine e le vicissitudini spesso difficili e dolorose e per diversi addirittura drammatiche degli abitanti di Zampé, narrate nel romanzo.

Zermatten nelle 227 pagine del suo romanzo ci riconduce al suo soggiorno dall’autunno del 1921 alla primavera del 1922 quale allievo della scuola di Randonnaz, dove suo padre ne era il maestro. Lo fa lasciando narrare il personaggio Philippe che, anni dopo gli eventi che hanno portato alla distruzione del villaggio montano,   tornando da un lungo soggiorno all’estero viene a sapere che, malgrado si sia cercato di ribattere e di resistere per non abbandonare il villaggio, tutto era stato sacrificato e cancellato ai bisogni dell’economia locale. Come scrive Christoph Bolli in “Randannaz, village disparu” (1995) egli condanna le autorità (politiche e religiose) dell’epoca, responsabili di questa cancellazione, le loro pressioni che hanno costretto gli abitanti a cedere abbandonando la terra dei loro avi. Si smantellarono le case e si sostituirono con uno stallone per gli animali durante la transumanza estiva”. Il romanziere diventa storico, porta-parola delle vittime del dramma. Manipolati dai moralismi economici del sindaco e coadiuvati da quelli religiosi del prete, saliti a più riprese a Zampé per convincere tutti ad abbandonare definitivamente entro Ognissanti il luogo natio, demolito nel 1930. Ciò simulando pretestuosamente una sequenza di promesse economiche e logistiche per giustificare il forzato abbandono e raggiungere l’illusoria alternativa della nuova sistemazione, la “terra promessa”, nella zona delle paludi bonificate del fondovalle.

Come scrive Silvano Toppi nella prefazione del romanzo (“ammirabilmente tradotto da Tognola, mantenendone l’intensità e l’incanto”), Zampé diventa anche allegoria, esempio, raffigurazione e conseguenza del mondo o dei mondi che distruggiamo con pretesti naturali (non si può vivere qui, con questa natura), religiosi (soli, senza parroco, vivete troppo lontani da Dio, è per la vostra salvezza eterna, è per carità cristiana che dovete lasciare), di costi e impraticabilità economica di servizi essenziali per la comunità (dovremo chiudere la scuola e un villaggio senza scuola è un villaggio morto, non ci potrà più essere regolare servizio postale per la corrispondenza), del prevalere di altri interessi o obiettivi economici esterni (raderemo tutto al suolo e trasformeremo tutto in redditizi pascoli, ma vi risarciremo, il nostro interesse è anche il vostro, i vostri figli vi ringrazieranno), di pianificazione, burocrazia, ordine perentorio del potere (potrete consultare tutto al registro fondiario, ognuno riceverà al piano un appezzamento del valore di quanto possiede qua, manterrete la proprietà di quelle rocce perché il comune non sa che farsene, dovete abbandonare Zampé entro Ognissanti), di valori umani decaduti, mutati, disprezzati (oggi non si può più vivere come una volta, oggi conta il denaro da poter spendere e lo avrete, vivrete al piano dove abbiamo bonificato paludi, aperto canali, avrete buona terra, tra dieci anni sarete tutti ricchi) “.

Una storia vallesana che Tognola ha voluto tradurre, come ci ha confidato, perché gli è particolarmente piaciuta e perché, come ha spiegato durante la bella e molto sentita presentazione a Grono, si è subito ritrovato nel personaggio e nel vissuto narrato da Philippe, alias Zermatten, allievo di suo padre a Zampé.

Pure in lettori un po’ in là con gli anni come capitato al sottoscritto, durante la lettura del romanzo si vedono affiorare certe analogie con il nostro territorio moesano, dove, oltre a diversi siti fortunatamente ben conservati, altri sono andati miseramente in rovina o sono stati addirittura demoliti. Basti ricordare, l’elenco potrebbe essere lungo:

  • proprio 70 anni fa, la demolizione dello storico ponte di Valle di Roveredo danneggiato nell’arcata sulla sponda sinistra della Moesa dall’alluvione del 1951, fino allora sempre sopravvissuto e restaurato già dal 1486 per iniziativa dell’allora signore della Valle Gian Giacomo Trivulzio. Ponte che si mantenne negli aspetti di allora, anche se ebbe più volte a subire altri restauri, come indicato anche dalle date che erano scolpite nel pilastro di mezzo, negli anni 1534, 1570 e 1830;
  • la scuola di Giova, edificio da tempo in sfacelo, frequentata proprio da Tognola tra il 1950 e il 1952, anno della definitiva chiusura, per poter raggiungere il numero minimo di cinque scolari per tenerla ancora aperta dalla zia di Tognola, la giovane maestra Zita Pacciarelli, l’ultima maestra della scuola di Giova, seguita a Piero Stanga;
  • il ponte ad arco, cosiddetto “romano”, in località Caurga tra Pian San Giacomo e San Bernardino, da anni traballante e miseramente crollato lo scorso anno;
  • l’incuria negli ultimi decenni di quello che era il suggestivo nucleo rurale delle stalle in località Campagna, tra Lostallo e Cabbiolo, un’immagine che era “da cartolina”, un insieme di costruzioni simili per forma, orientamento e materiali, stalle smantellate in due unità già alcuni decenni fa ai tempi dell’infinito “raggruppamento terreni”, altre rovinate negli anni con interventi inappropriati rispetto alla loro costruzione primitiva o lasciate definitivamente crollare.

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