di Teresio Bianchessi
Nero del Ghana, questo il suo nome e cognome, quello vero non lo so, non me l’ha mai detto.
Nemmeno lui conosce il mio, ogni volta che gli allungo una moneta sorride e mi ringrazia così: “Grazie zio”.
Se ne sta lì nell’atrio del supermercato malamente seduto non sulle panche ma sui cordoli bassi che riparano i muri dai carrelli.
Nero del Ghana è minuscolo, magro, rispettoso, giovane non lo è più, non sollecita l’elemosina, sei tu che lo devi vedere, tuttavia taluni clienti hanno manifestato il loro disappunto perché quella presenza li disturba; il supermercato, fortunatamente, sino ad ora, è stato meritevolmente tollerante.
Domenica mattina lo ritrovo lì accucciato, lo saluto, gli allungo la moneta ma questa volta non mi sorride e mi ringrazia così:
“Grazie papà” – poi si alza di scatto, sembra confuso, mi dice: “Ritorno al mio paese” – è triste – “Dove?” gli chiedo “Ghana” – poi prosegue – “Mio papà telefonato, detto tornare” – “Torni in famiglia?” – “Si dalle mie tre figlie… mio papà detto che un pomodoro sempre c’è… qui male… io basta dormire in giro”. Barcolla e la precarietà del corpo è specchio della sua vita.
Scopro così che Nero del Ghana, in apparenza un disadattato, che per un soldo mi chiama “Papà” è un padre che voleva cambiare la vita delle sue figlie e non ci è riuscito… mi si stringe il cuore.
Si risiede, io m’infilo fra gli scaffali ma non trovo quel che cerco, poco dopo ritorno da lui e vedo sul suo viso l’amaro della sconfitta, gli do una banconota “Grazie papà” – ripete – “Mangia mi raccomando” – gli dico, lo saluto, poi provo a sorridergli, ma appena fuori piango…
Torna dalle tue figlie Padre buono del Ghana e di loro che noi non ce l’abbiamo fatta.