“FEMMINILE” SPODESTA “MASCHILE”

di Teresio Bianchessi

E’ successo all’università di Trento

Forma o sostanza?

Mia moglie, da anni, è abbonata alla rivista “Grazia”, periodico femminile storico, diretto da Silvia Grilli sempre decisamente e giustamente schierata nei suoi editoriali a difesa delle rivendicazioni e libertà delle donne.

Confesso che la sfoglio anch’io, all’inizio per una generica curiosità, poi intenzionalmente per mettermi “nei panni altrui”, nello specifico del mondo femminile,  esercizio sempre utile per aprirsi e comprendere ragioni e valori diversi dai propri.

Le pagine che mi interessano non arrivano a cinque, sei ogni numero, le tante altre di moda, di cura e bellezza le giro rapidamente sin che incontro quelle di approfondimento che  mi incuriosiscono e mi obbligano a riflettere; l’ultima volta è successo con questo titolo:  

“OGGI OGNI LUI DIVENTA UN LEI”.

Incuriosisce vero?

E’ successo infatti che all’Università di Trento Barbara Poggio, prorettrice alle Politiche di equità e diversità e Sociologia del lavoro, ha approvato il proprio regolamento generale specificando che: “I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone”; tradotto vuol dire che ogni professore è diventato una professoressa, ogni ricercatore una ricercatrice etc.

Una piccola, grande rivoluzione che dal linguaggio passa alla società.

Il rettore Flavio Deflorian ha confessato che leggendo il testo ha avvertito, come uomo, un fastidio che l’ha aiutato però a capire lo storico disagio patito dalle donne.

Di certo il “genere femminile” è stato penalizzato, basti pensare alle celebrazioni religiose dove l’officiante rivolgendosi ai presenti, uomini e donne,  usava sino a non molto tempo fa la sola espressione “Cari fratelli”, ma succede ancora oggi nella scuola che i professori per richiamare all’ordine la classe usino il termine “Ragazzi basta” e alla materna “Bambini zitti” . E le bambine?

A Trento, in un contesto specifico, questa logica è stata capovolta, lì giovani studenti, professori maestranze, si sentiranno da quest’anno citare verbalmente e per scritto al femminile.

Se era ingiusto prima, ingiusto ora perché a turno i “generi” si sentono offesi.

Difficile districarsi, prendere posizione, forse la soluzione logica è quella di usare il maschile se ci si rivolge ad un uomo e il femminile se a una donna e quando la platea è mista salvaguardare la regola della reciprocità, quella che la Chiesa oramai ha imparato a usare, anche nelle preghiere, ovvero: Cari fratelli e sorelle e altrettanto si faccia nella scuola e altrove: cari ragazzi e care ragazze, ma anche viceversa… care ragazze etc.

Discussione che arrischia di diventare un campo di battaglia con alcuni esperti linguistici che sostengono che il maschile, già dall’origine, … era utilizzato in modo generico, promiscuo; altri, invece, affermano che la lingua è indicatore culturale anche di abitudini radicate e ingiuste e per  superarle suggeriscono l’utilizzo dello “schwa” (dall’alfabeto fonetico internazionale), ovvero chiudere il termine con una “e” capovolta per definire una parola non marcata, una sorta di neutro latino da utilizzare nel caso ci si rivolga ad una platea promiscua.

Disquisizione linguistica, riflessione dell’uso dei termini che risulta però sterile se non arricchita di contenuti, se la forma non diventa sostanza.

Uso un ricordo lontano per farmi capire: quand’ero bambino, nei paesi di campagna,  si usava dare del “voi” al padre e formalmente oggi sembra stridere, sembra eccessivo, ma nella realtà era un “voi” sereno, trasparente, affettuoso senza nessuna implicazione di sudditanza, tuttalpiù forma di rispetto agli occhi degli adulti, i bambini continuavano a fare i loro capricci.

Per tornare alla svolta dell’Università di Trento mi vien da concludere che trattasi di una provocazione formale che di certo aiuta a dare nuova spinta verso la parità delle donne in tutti i campi sia lavorativi, di studio, di sport, di vita in generale.

Perché mi sono infilato in questa riflessione?

Per un celato senso di colpa, infatti,  la mia generazione ha beneficiato della prevalenza del maschile vissuto però, lo assicuro, come forma, non come sostanza e nella generalità dei casi con il rispetto assoluto e sacrosanto dell’universo femminile.

Giusto però capire, correggere e garantire parità fra i generi e fortunatamente ci si sta muovendo e si è arrivati a legiferare nuovi criteri anche nell’attribuzione  dei cognomi da attribuire alla prole.

Altra piccola rivoluzione, ma altrettanto significativa, quella dei nomi sui citofoni, infatti, oggi, se suono a casa dei miei figli e delle figlie trovo entrambi i nomi dei coniugi, magari in ordine alfabetico; una volta c’era solo quella del marito.

Era ora, si è corretta una stortura, attenzione  però a non farsi distrarre dalla sola forma, importante che dietro la porta ci sia “sostanza” e “lei” non ha bisogno di etichette.

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