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Viaggi & Cucina
mercoledì 6 aprile 2022.
DUBAI - LA CITTA’ VECCHIA - IL DESERTO
di Teresio Bianchessi

Terza puntata del fantastico viaggio a Dubai del nostro amico scrittore e collaboratore Teresio che con dovizia di dettagli ci ha portato e continua a portarci attraverso tutti i luoghi da lui visitati. Il racconto, a tratti poetico, è un susseguirsi di emozioni come se anche noi fossimo lì a vivere quei magici momenti.



Puntuali anche oggi, anche se il venerdì è stato faticoso, anche se ci siamo coricati più tardi del solito; normale per Gabriele e Silvia, i nonni invece ce la fanno per orgoglio, ma i veri meritevoli sono loro, Tommaso e Riccardo che puntano la sveglia, si gestiscono, sempre puntuali allo scoccare delle 9 a.m. non comportandosi di certo come “Gli Sdraiati” del romanzo di Michele Serra. Scusate la divagazione, ma in qualche modo bisognava avviare la giornata che prevedeva peraltro, come in partenza, il tampone molecolare presso il Medcare di Dubai, evitato grazie alle ultimissime disposizioni sanitarie internazionali; guadagniamo così tempo.
Ci incamminiamo, attraversiamo la piazza sabbiosa che porta alla metro poco distante; per ogni destinazione Gabriele sa se è raggiungibile con i mezzi o se serve il taxi, per la città vecchia ok per il mezzo pubblico e nel percorso utilizziamo una seconda linea breve che interseca la principale, ma che meraviglia anche le stazioni di questa linea rossa, guardare per credere.



Arriviamo in un’area che fatico a definire, sembra una sorta di frontiera, ci incamminiamo, infatti, dentro un enorme cantiere con palazzi in costruzione, è la propaggine ultima della Dubai dei grattacieli interrotta da un’ampia viabilità che è spartiacque fra le due città e per raggiungere l’altra “sponda” dobbiamo salire, sotto un sole che anche oggi picchia, su un lungo ponte sopraelevato.
Ridiscendiamo in una via di alberghi che nulla han a che vedere con quelli lasciati, anche i negozi han decisamente profilo diverso, serve orientarsi e lo fa bene Riccardo che, anche con l’aiuto di “Google maps” ci fa entrare a “Bur Dubai” la città vecchia, famosa in passato per i commerci legati alla pesca e in particolar modo a quello delle perle; ai tempi era l’unico porto, il più importante della regione dove attraccavano velieri provenienti da Africa e India.



Di colpo mi sento catapultato in un altro mondo, la sensazione è quella non di aver preso la metropolitana, ma un volo intercontinentale tanto enorme è il contrasto e devo confessare che mi trovo più a mio agio qui; passiamo davanti ad un ufficio cambi e, pensando che visiteremo i souq, preferiamo avere dei dinari in tasca e anche all’interno di questo affollato ufficio mi sento in un mondo lontano; agli sportelli non solo turisti ma anche operosi commercianti locali che devono trattare e pagare presumibilmente in valute estere, cambiamo con rapporto di 4 dinari per 1 euro.
Riprendiamo il cammino e sbuchiamo lungo le rive del fiume “Creek”, una sorta di fiordo che divide in due la città, al di qua Bur Dubai, al di là Deira e finalmente ritrovo un paesaggio che conosco, finalmente l’acqua, l’ocra dei muri dei palazzi, il cielo azzurro, i gabbiani, restiamo tutti incantati e sostiamo in un locale ospitalissimo lungo la riva dove gustiamo, accompagnato da datteri freschi, caffè arabo color caramello che lascia in bocca un gusto pieno di aromi, vorremmo restare lì tutto il giorno ad osservare il navigare colorato e intenso sul fiume, la vita che scorre, ma il programma prevede la visita anche dall’altra parte e così saliamo sull’abra tradizionale, minuscola, precaria imbarcazione che di continuo traghetta vite dall’una all’altra riva.
L’abra non ha sponde, i piedi sono quasi in acqua, vicino a me durante la traversata un arabo sbocconcella pane che getta in aria, penso dia cibo ai pesci, richiama invece i gabbiani che festosi arrivano e planano sulla piccola imbarcazione.



Siamo sull’altra riva, ci incamminiamo a piedi per visitare i souq tradizionali, il primo è quello delle spezie ed è un tripudio sì di odori: curcuma, zafferano, incenso, curry etc., ma soprattutto di colori a comporre una tavolozza che rallegra, come le stoffe, gli abiti tradizionali e chi non resiste è Tommaso che acquista, dopo breve trattativa, il kefiah tradizionale copricapo arabo del quale è soddisfattissimo, cedono anche mamma e figlia, coccolate dalla bravura dei venditori…italiane…voi italiane… e così ecco nello zaino un coloratissimo abito per l’estate.
Proseguiamo ed ecco le ceramiche, l’oggettistica là dove il cammello la fa padrone, il tutto reso elettrizzante dalle simpatiche, vivaci trattative che sappiamo rituali; Gabriele ci ricorda che non possiamo mancare, però, il più famoso dei bazar, quello dell’oro e ha ragione perché rimaniamo davvero a bocca aperta, sorpresi, roba da mille e una notte, veniamo catturati dalla meraviglia e maestosità dei monili, dalle collane soprattutto, sono pizzi, ricami d’oro che possono abbellire metà corpo e che rimandano alla seduzione delle danzatrici del ventre.
I venditori ci invitano ad entrare in bottega, sottolineano che è conveniente acquistare l’oro da loro, costa il 30% in meno che altrove ed è vero, ma riusciamo a sfuggire alla tentazione e, lasciato il mercato, ci infiliamo nel pittoresco caos della città vecchia.



Laggiù, verso la foce del Creek intravediamo le mura della vecchia casa dello sceicco Saeed al Maktoue con le famose Barjeel, conosciute come “Le torri del vento” che ai tempi avevano il compito di veicolare all’intero le brezze d’aria fresca catturate lassù in cielo, sono le ecologiche antesignane dei sistemi di condizionamento.
Il centro della città è assolutamente caotico, ingorghi ad ogni incrocio perché qui le consegne non le fa Amazon, ma vengono scaricate sui marciapiedi da pittoreschi furgoni che han sponde in ferro con motivi floreali, ma anche da vetture, per lo più SUV che sostano, bloccano il traffico, scaricano balle, cartoni, casse, che vengono poi prese in consegna da una forza lavoro che non saprei come definire, non son certo trasportatori perché i loro unici due mezzi sono schiena e modesti carrelli, somigliano ai nostri storici camalli liguri, aspettano il lavoro sul marciapiede, probabilmente hanno accordi con i negozi dei souq, ognuno avrà i propri clienti e quando arriva il carico eccoli sparire fra i vicoli, molti con il carico in spalla.



Rivedo il sudore, la laboriosità, una fatica antica e per un attimo riprovo l’emozione che provai a Marrakech, là nell’ingorgo del traffico c’erano anche asini e cavalli che trainavano carri.
Ci accorgiamo che anche questa mattina abbiamo dato, ci ricordiamo che alle 15 p.m. in albergo ciaspetta un VAN per portarci nel deserto, siamo stanchi e affamati ma, visto il poco tempo è per tutti street food e cosa se non pollo, fortunatamente troviamo da sedere, Tommaso ci dice di aver ordinato per loro quello piccante, per noi no, ma quando addentiamo il nostro boccone immaginiamo cosa debba essere il loro, perché la bocca, pur gratificata da sapori sublimi, brucia, un sorso d’acqua e poi di corsa alla metro ed eccoci davanti alla hall pronti per il deserto, giusto in tempo perché di lì a poco arriva la navetta che ci porterà fuori città nel punto di ritrovo per l’escursione. Conosciamo la nostra giovane guida, il ragazzo è simpatico, loquace, indossa una maglietta dove campeggia la scritta: “Your life. Your Story. BE A HERO” che subito mi galvanizza, mi sento leone del deserto.



Uscire di città, già, ma se devi uscire da Dubai è come se da Milano punti a Parma, infatti maciniamo kilometri, rivediamo i grattacieli oramai memorizzati sino a che diradano e si intravedono scavi, cantieri, avanti ancora e quella che percorriamo ora sembra davvero un’autostrada, intravedo una solitaria stazione di servizio, una sorta di piccolo Autogrill che ha a fianco, pensate, una Moschea che è lì persa nel nulla pronta a ricevere i viaggiatori nell’ora della preghiera.
Procediamo, sulla sinistra una brulla collina, discarica dei cantieri che abbiamo visto; è un progetto ci spiega la guida, sarà la “Collina verde” della città, avrà alberi, prati, fiori, siamo ben lontani ora, intravediamo delle fattorie che hanno una collocazione precisa e obbligata, ben distante dalla città che deve rimanere linda.



Costeggiamo il “Murquab Dubai desert conservation” che ospita un numero incredibile di antilopi, poi il mezzo devia e la guida ci informa che ci gratificherà di un transito speciale alla pista per cammelli “Al Marmoon Camel Racetrack” la più grande di Dubai che attira proprietari di cammelli da tutti gli EAU e che ha al suo interno il primo ospedale per cammelli al mondo; qui da ottobre ad aprile, il venerdì e sabato nelle prime ore del mattino, si svolgono le gare che attirano residenti e turisti, ci sono premi per i vincitori, ma a queste gare non sono ammesse scommesse, così come invece da noi per i cavalli.



Certo che è davvero fantastica la struttura che attraversiamo, piste, stalle, locali, ristoro, ospedale, palme, verde, fiori, davvero un incanto e carovane … carovane di cammelli che qui vengono allevati, addestrati, curati.
Lasciata questa incantevole magia, finalmente arriviamo al punto di ritrovo, già schierate le jeep con le quali ci addentreremo nelle dune del deserto, l’accoglienza è festosa e la presenza di altri gruppi galvanizza, ma prima di salire a bordo è previsto il rito del kefiah, tutti dobbiamo avere in testa il caratteristico copricapo arabo che senza la loro maestria faticheremmo a calcarci in testa, pronti via si parte.
La jeep è scoperta, s’inoltra nel deserto e fatichiamo a capire come la guida riesca ad orientarsi ora che non ci sono più piste tracciate, s’intravedono forse segni dei pneumatici, sta di fatto che procede deciso e sotto i nostri occhi iniziano a sparire anche i pochi bassi rovi ed iniziano ad alzarsi le dune, è incantevole, si guarda di qua, di là, si fanno scatti, sobbalziamo per una brusca frenata, ci si ferma perché l’autista, con occhio di falco, ha intravisto sulla sinistra un gruppo di gazzelle che si riparano dal sole, sono placide, tenere, le immortaliamo, ma sono lontane, in foto si intravvedono appena.



Non è la sola sosta, altre due volte scendiamo dal mezzo, per camminare nella sabbia, per osservare il paesaggio, per sentire il silenzio, malauguratamente guastato da un turista di altro gruppo che, per scattare foto dall’alto, ha fatto alzare il suo piccolo drone. Pazienza.
Ci inebriamo del colore delle dune che muta alla diversa luce del sole, si avvicina l’ora del tramonto, la guida ci invita a risalire dicendoci che lo ammireremo nella prossima tappa dove, fra l’altro, ci attende un falconiere, che ci parlerà del rapace simbolo nobile degli emirati.
Arrivati e ad attenderci, sulla sabbia, tappeti e cuscini colorati, ci sediamo di fronte al sole che è quasi all’orizzonte ed eccolo il falco che si fionda sulla preda lanciata da una sorta di lazzo, la rincorre volandoci con sibilo sulle teste, è una simulazione per noi, non per l’uccello che alla fine addenta la sua preda e la consuma.



L’istruttore ci spiega che la falconeria è per loro tradizione antichissima e il falco è estremamente rispettato e per emiri e sceicchi, ancora oggi, ricevere o regalare un falco è segno di rispetto; con questi presupposti come rinunciare all’opportunità di una foto reggendo sul braccio il falco del deserto. Il sole è sceso e il buio ci ha avvolti, è un’altra forte emozione, il silenzio è ancor più assordante, si avverte una pace che suggerirebbe di allontanarsi soli e rimanere lì al buio a sentire la voce notturna del deserto, ma la guida ci fa risalire e a luci accese ci dirigiamo verso il luogo dove, con la cena, termineremo l’escursione.
Siamo provati dalla giornata, ma l’ingresso a questa sorta di “campo/oasi/ristoro” ha subito un effetto rilassante; divani, tappeti, cuscini ci attendono, ci offrono una bevanda calda, ci accompagnano al capanno dove ceneremo, ecco il nostro tavolo, una lunga asse appoggiata a terra e cuscini per sederci, rustica informale, lasciamo incustoditi, senza problemi, i nostri zaini ed iniziamo con l’addetto un giro alle varie postazioni di cottura, si avverte in tutti loro una serenità, un distacco diverso dal nostro frenetico approccio alla vita.



Ci mostrano dove cuociono il loro pane, sottilissimo, profumato, dove stanno cuocendo, là sotto terra, l’agnello, poi il recipiente dove bolle una zuppa di lenticchie che risulterà buonissima, le verdure alla brace, persino carne di cammello che oramai è difficile trovare anche nei ristoranti e riso ad accompagnare il tutto, ma prima di tornare al tavolo non si può non assaggiare il latte di cammello, ai tempi alimento base per le tribù nomadi, è ancora tiepido, bianchissimo più di quello di mucca, leggermente salato.
Divoriamo la cena; la più ostinata sotto i denti è la carne di cammello, ma ci siamo saziati, riprendiamo energie per il dopo cena che offre danze e canti coi tamburelli ai quali mi associo, poi finiamo nell’ angolo fumeria, anche Tommaso e Riccardo chiedono il narghilè loro strumento tipico per il fumo, i nonni arricciano il naso, ma ci assicurano che dentro c’è solo acqua e profumi, in questo dicono di mela, sarà così, vogliono che proviamo anche noi ma ci rifiutiamo, anche il fumo rende però allegra la serata e per immergerci ancor più nel clima, questa volta Luisa ed io finiamo sotto il capanno della tatuatrice e ci facciamo un henné che mostreremo al rientro per alcune settimane.



E’ buio, quasi l’ora del rientro, ma ci ricordiamo che era possibile un breve giro a dorso di cammello, ce la facciamo per un pelo, quando saliamo io e Tommaso l’animale borbotta, forse è stanco ma per noi il breve percorso dritti verso il buio del deserto è la ciliegina sulla giornata.
Ora si rientra davvero, di nuovo il lungo rettilineo di grattacieli, è tardi e l’indomani ci attende una giornata di 48 ore, sì perché dopo le visite programmate al Frame of Dubai e al Burj Khalifa, avremo l’imbarco per il rientro a mezzanotte e mezza; ci salutiamo nella hall e Gabriele, inflessibile, raccomanda a tutti puntualità.

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È domenica

È domenica
e scendo queste scale,
e come un cane fiuto a queste porte
il solito, indistinto cucinìo condominiale.
Porto con me, ancora non so dove,
un giorno rosso della settimana,
forse un Natale,
con mia madre che gira il suo ragù
e le campane così forti e vive
che ogni casa sembrava un campanile.


Vito Maida (poeta soveratese, 1946/2004) 
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