Il mese scorso a Lugano è stato presentato un libro che spiega i motivi per cui si dovrebbe salvare la lingua italiana. Il tema è certamente stimolante e sentito, almeno nella Svizzera italiana. In passato, infatti, in Ticino si temeva la germanizzazione del territorio in seguito all’apertura della ferrovia del San Gottardo. La cosa, come è evidente, non si è concretizzata. Tuttavia, negli ultimi decenni si è percepito un certo indebolimento della cosiddetta italianità in alcune aree del Canton Grigioni, segnatamente a Bivio. Sempre nei Grigioni, non molto tempo fa, almeno in certi ambienti, si è arrivati a considerare l’italiano una lingua ’folcloristica’. In effetti, al di fuori della Svizzera, di San Marino, del Vaticano e, naturalmente, dell’Italia l’italiano si studia un po’ ovunque, ma si usa poco, fuorché online e in ambiti ristretti. È difficile perciò condividere il pensiero di chi crede, senza fornire prove concrete, che la lingua italiana sia la quarta più studiata del mondo. Si sa che la realtà non è così rosea come qualcuno vorrebbe dipingerla. I dati parlano chiaro: nelle università americane e in quelle britanniche i corsi di italianistica non sono più gettonati come lo erano in passato.
Quando si osserva poi ciò che succede nella Svizzera interna, a proposito dell’insegnamento delle lingue nazionali nelle scuole, ci si accorge che lo stato di salute dell’italiano non è così florido. È risaputo che Oltregottardo l’inglese è considerato più importante dell’italiano. Difficile sostenere il contrario. Ma la questione è un’altra. Spesso si sente dire che l’inglese si è diffuso grazie all’imperialismo britannico prima e a quello americano in tempi più recenti. Non c’è dubbio che l’impero britannico e la supremazia americana in campo economico abbiano contribuito alla diffusione di una lingua che, ai tempi di Shakespeare, era parlata da meno di 5 milioni di individui. Il termine imperialismo però è fuorviante perché contribuisce a diffondere l’idea che una lingua s’imponga con la forza. Il che, almeno nell’Europa continentale, per quanto concerne l’inglese, è falso. Il mondo anglofono, che è una galassia molto eterogenea, non è un universo di marziani smaniosi di imporre la propria cultura linguistica al mondo. Innanzitutto, non esiste nemmeno un’accademia linguistica inglese, il cui scopo sia quello di ’difendere’ o di ’promuovere’ l’idioma di Shakespeare. Tant’è vero che l’inglese oggi, come in passato, si scrive in modo molto eterogeneo. Pertanto, i bambini britannici impiegano anni a scrivere in modo ’accettabile’. In realtà il loro modo di comporre le parole è creativo e vario, dato che non esiste una legge che imponga loro come scrivere. Nessuno ha mai provato a imporre una grafia omogenea, contrariamente a quanto è accaduto e continua a succedere in altri stati del Vecchio Continente.
In Germania, invece, una serie di riforme ortografiche imposte con la forza, cioè per legge, è stata accolta con calore dagli editori, che hanno potuto così ristampare i libri facendo affari. Tuttavia, l’applicazione delle regole ha creato molta confusione e non sono mancate polemiche da parte degli utenti. Nel mondo italofono la situazione non è così estrema. Eppure, esiste un’istituzione, l’Accademia della Crusca, la più antica del suo genere, che suggerisce come si dovrebbe parlare e scrivere l’italiano. Negli ultimi decenni la prestigiosa accademia ha avuto modo di collaborare a progetti di valorizzazione linguistica anche in Svizzera, per esempio in Val Bregaglia. Un atto encomiabile, certo. Viene solo un dubbio. Non è che, con la scusa della difesa della lingua, si faccia imperialismo culturale nel nome di Dante? Vengo al nocciolo. Durante la serata luganese, cui ho accennato in precedenza, c’è chi ha voluto sottolineare che la lingua italiana sarebbe tra le poche a non essere mai stata imposta con la forza. Si tratta di un’opinione diffusa, non di un fatto. Ci sono almeno due esempi che sfuggono. Quando ci si appresta a programmare le vacanze si pensa talvolta a due regioni, non lontane dalla Svizzera, celebri per la loro bellezza: l’Alto Adige o Sudtirolo e l’Istria. Entrambe sono italofone o, almeno, lo sono in minima parte. Nel primo caso però sfugge un particolare. In seguito alla conquista italiana, dopo la prima guerra mondiale, la regione fu sottoposta a un’italianizzazione selvaggia e feroce, ai danni delle popolazioni germanofone e ladine. In Sudtirolo l’italiano fu imposto non per amore della poesia di Dante ma con la forza, e non solo durante l’epoca fascista. Dimenticarsene è umano, ma non si dovrebbe ignorare il fatto che l’italianità è stata imposta con il fucile. Nel secondo caso, non è giusto scordare che in Istria, che è il nome di una regione a cavallo tra Slovenia e Croazia, l’italiano è una lingua ufficiale, ma a rischio d’estinzione, parlata da circa 30.000 individui. Intendiamoci, l’italiano in Istria, che è parlato da una minoranza, non è debole per colpa dell’inglese imperialista ma perché quasi un secolo fa si cercò di imporre la lingua di Dante con la forza anche a chi non lo capiva. L’Istria fu voluta dai nazionalisti italiani poiché la regione era menzionata in un’infernale terzina dantesca:
Sì come ad Arli, ove il Rodano stagna,
Sì come a Pola presso del Quarnaro
Che Italia chiude e i suoi termini bagna.
Finita la seconda guerra mondiale, l’Istria divenne prima jugoslava poi, successivamente, fu divisa tra Slovenia e Croazia. Gran parte della popolazione italofona se ne andò e per i pochi che rimasero fu difficile conservare le proprie usanze linguistiche. Oggi, se la lingua italiana è ridotta al lumicino in Istria, la colpa è da attribuire alle politiche linguistiche di italianizzazione che furono introdotte per sradicare l’elemento slavo. L’ironia della storia è che laddove un tempo l’italiano prosperava, prima dell’italianizzazione, oggi la lingua che consideriamo a torto o a ragione ‘nostra’ è quasi sparita.
La morale è che, quantunque un poeta si possa considerare grande e una lingua possa essere meravigliosa, non si deve imporre con la forza una cultura linguistica, pena il rischio di un conflitto, come ci ha insegnato la storia. L’italiano, sarà pure meraviglioso ma questo non ci autorizza a imporlo a chi non lo vuole imparare, con buona pace di accademici e insegnanti.